Come “semplificare” la servitizzazione: il modello Servitly - Industry 4 Business

2022-06-10 22:05:49 By : Mr. michael Blaine

Stefano Butti, CEO e fondatore della startup nata per proporre un nuovo modello di sviluppo nell’ambito della servitizzazione: una unica platform per gestire, in modalità data driven, tutti i componenti della trasformazione da prodotto a servizio

Semplificare la servitizzazione, renderla accessibile e personalizzabile. La sfida e la missione di Servitly nasce nel segno del software per la semplificazione della digital servitization, ovvero in uno dei fenomeni più innovativi per le imprese del mondo manifatturiero. Servitly è infatti una giovane software house con un focus strategico sul tema della trasformazione da prodotto a servizio e con la precisa missione di permettere una vista e una gestione di tutti i fattori abilitanti per gestire con successo la digital servitization sul piano industriale, con la massima focalizzazione al raggiungimento di precisi risultati di business.

Stefano Butti, fondatore e CEO della società, spiega a Industry4Business il percorso e le prospettive della startup: “Abbiamo colto subito l’esigenza del mercato di trasformare il modello competitivo con la servitizzazione. Nella nostra esperienza ci troviamo quotidianamente a incontrare imprese manifatturiere che producono apparecchiature e macchinari a cui non basta competere sulla qualità o sul prezzo del proprio prodotto, ma che sentono la necessità di guadagnare un vantaggio competitivo creando un nuovo valore a livello di servizi o, appunto, sempre più frequentemente con la trasformazione stessa del prodotto in servizio”.

Ma facciamo un passo indietro e vediamo il percorso di Servitly. All’origine ci sta un progetto nato in WebRatio, come soluzione per la “servitizzazione” di tipo custom. Si trattava a suo tempo di progetti IoT indirizzati a clienti importanti con complessità particolari che hanno permesso di analizzare in modo molto approfondito tutte le variabili. Con lo sviluppo di questi progetti si sono individuati dei pattern ricorrenti, che esprimevano problematiche comuni e soluzioni standardizzabili. Per tutte queste realtà la logica era quella di creare un progetto che permettesse all’azienda di gestire la connessione dei propri prodotti, di monitorarli, di gestire il loro funzionamento e di fare poi il “salto” per fornire il prodotto come servizio. A fronte del patrimonio di conoscenze acquisito nello sviluppo di progetti custom, si è pensato di standardizzare la soluzione alle problematiche più frequenti e di impostare una logica che potesse essere replicata su tanti e diversi progetti, ovvero di dare vita a un software utilizzabile per la realizzazione di questi progetti. E arriviamo all’idea di un software come platform per creare e progetti di servitization accelerando la capacità di delivery.

Butti ricorda anche la scintilla che ha acceso la lampadina di questa idea, vale a dire l’intervento, nel corso di un convegno, del professor Tim Baines, direttore dell’Advanced Services Group alla Aston University e autore di: “Made to Serve: how manufacturers can compete through servitization and product service systems” un testo di assoluto riferimento per il mondo delle operation e del manifatturiero, che guarda alle prospettive di innovazione dei servizi.

“Baines – ricorda Butti -, che insegna in una università con una forte vocazione all’analisi e alla ricerca nel mondo della service transformation, ha spiegato con una chiarezza cristallina il passaggio da prodotto a servizio e con quelle parole ha confermato indirettamente la validità dell’idea”. L’intuizione che è stata alla base di Servitly era giusta, ma serviva anche un nome all’altezza di questa innovazione, un nome che esprimesse chiaramente il valore della soluzione . “Nonostante la soluzione fosse basata sull’Internet of Things, non volevamo definirci una “IoT Platform”, perché consapevoli del notevole affollamento sul mercato e dei valori intrinseci di una scelta più verticale come la nostra. A quel punto sentire Baines parlare di servitization ci ha spinti a pensare a un nome in grado di esprimere chiaramente il ruolo della nostra soluzione come componente digitale IoT della servitization”. Con questo primo percorso siamo riusciti a collocarci in uno spazio chiaro partendo dal presupposto che l’IoT è un mondo molto frammentato e che noi lo abbiamo interpretato con un vertical specifico, che è appunto quello della servitization.

Con queste scelte e con questa strategia ci siamo trovati davanti a un nuovo modello competitivo e a un “clima” molto particolare. “Non possiamo infatti nascondere che molti clienti esprimevano una sorta di “nostalgia”, ricordando quando i loro prodotti erano leader, e quando hanno incontrato nuove forme di concorrenza, spesso basate sui prezzi che hanno portato via quote di mercato. Aziende che hanno visto nel passaggio da prodotto a servizio una nuova leva per recuperare competitività”.

Dopo qualche mese dalla “illuminazione”, nata grazie anche alle visioni di Baines, “abbiamo deciso di creare una nuova società progettata per gestire una soluzione software verticale dedicata alla servitizzazione, basata su Cloud e con un modello di business basato sulla proposizione “as a service”. Non ultimo anche il fatto che questa nuova realtà permetteva di attirare capitali di investimento, allo scopo di accelerare lo sviluppo

In termini di gotomarket Servitly ha poi dato vita a un approccio molto pragmatico: “Quando parliamo con le aziende partiamo dalla definizione dei loro prodotti, della loro value proposition e del loro modello di business. Evidenziamo una direzione strategica basata sulla piattaforma di servitizzazione e proponiamo un software di modelizzazione che permette alle aziende di progettare, implementare e governare il passaggio da prodotto a servizio.

Con quali vantaggi? “nel momento in cui si parte con un progetto IoT, la soluzione custom permette di avere elevatissimi livelli di personalizzazione e di ottimizzazione, ma è anche una soluzione che, soprattutto nel tempo, rischia di essere dispendiosa, per la necessità di aggiornamento che deve a sua volta essere gestita in modo personalizzato. Al contrario, nella nostra idea, il passaggio alla servitization deve poter avvenire in modo naturale, graduale, in funzione della capacità di far evolvere la cultura e la sensibilità dei clienti. Il passaggio da prodotto a servizio deve poter avvenire senza strappi, ma con la possibilità di personalizzare il percorso evolutivo. Anche perché non va dimenticato che con questa operazione si mette in discussione la cultura del possesso, si deve preparare e far evolvere un nuovo approccio al prodotto e un nuovo modello di business.

Un altro aspetto importante sul quale si è lavorato con questa piattaforma riguarda la possibilità di “superare” la complessità di alcune fasi che caratterizzano l’implementazione del modello custom. In questo caso il committente è chiamato a descrivere in modo preciso i requisiti. Ma questa descrizione è sempre piuttosto complessa e si deve confrontare con la difficoltà di rappresentare nel dettaglio come deve funzionare la soluzione, quali processi implementare, come valorizzare i dati verso il cliente e tanti altri aspetti.

“Ed è qui che si colloca la nostra piattaforma software, concepita come un abilitatore per le aziende che vogliono compiere la trasformazione. In un unico software abbiamo concentrato elementi tecnologici e di teoria di supporto alle aziende e che accompagna le aziende in un percorso che consta di tre fasi”:

Più in generale possiamo considerare Servitly come la piattaforma per la “gestione del ciclo di vita post produzione” del prodotto. Se tradizionalmente le aziende manifatturiere consideravano chiuso il ciclo di vita del prodotto nel momento in cui il loro prodotto veniva venduto. In quel modello il prodotto passava di mano nel momento della vendita ed entrava in possesso del cliente. Da quel momento il contatto tra produttore e prodotto era regolato dai servizi di manutenzione. Tutto questo cambia con la servitizzazione. In questo caso la vendita del prodotto rappresenta il punto di inizio per il ciclo di vita del prodotto presso il cliente, un ciclo che prevede un rapporto molto stretto con il prodotto e che l’azienda deve gestire con estrema attenzione perché è qui che si gioca il valore del rapporto con i cliente e i temi della continuità del servizio.

Questa fase può essere definita anche come “post produzione” e non più “post vendita” poiché tecnicamente, in ottica di servitizzazione, la vendita è continuativa nel tempo

Dal punto di vista dei mercati Servitly conta in particolare su realizzazioni in settori come:

“Un caso tra i più significativi nella nostra esperienza – racconta Butti – è rappresentato da un’azienda che produce generatori di azoto. Si tratta di una realtà che vende l’asset al cliente il quale paga una quota per disporre di un generatore di azoto usato tipicamente per l’industria alimentare, per il confezionamento degli alimenti in atmosfera protetta. Per il “cliente del nostro cliente” solitamente le alternative sono due: acquistare la macchina per generare azoto o acquistare azoto in bombola. Pro e contro si valutano anche in termini di costi delle macchine e costi delle bombole.

Grazie a Servitly il nostro cliente può vendere la macchina come servizio facendo pagare al cliente il metro cubo di azoto generato dalla macchina con un prezzo competitivo rispetto alla bombola. Il cliente finale avrà i vantaggi di un prezzo proporzionale all’uso di azoto di cui ha bisogno e al tempo stesso non avere lo stoccaggio delle bombole ad un prezzo più competitivo. Questo è l’esempio di un’azienda che ha già percorso già tutte le fasi di evoluzione: ha connesso i prodotti, li monitora da remoto, offre manutenzione e diventa competitivo nella vendita del proprio prodotto.

Un altro caso concreto riguarda i forni. in questo settore è importante che abbia un’efficienza energetica considerevole e che minimizzi i tempi improduttivi. Chi produce forni vuole offrire ai clienti questo servizio. Grazie alla nostra piattaforma è possibile monitorare il funzionamento del forno, misurare tempi produttivi e improduttivi ed offrire un servizio tanto più premiante quanto più i tempi improduttivi vengono ridotti. I tempi improduttivi sono legati alla qualità stessa del forno. Un servizio performante è legato comunque ad un prodotto di qualità e le due cose vanno a braccetto. Un forno di qualità garantisce tempi improduttivi ridotti, perché ad esempio raggiunge i tempi di cottura in tempi rapidi come modulare la temperatura o abbassarla velocemente e riduce i tempi di rottura, malfunzionamento o manutenzione straordinaria. Chi produce forni di qualità può così arrivare a offrire un servizio di availability as a service.

Direttore responsabile delle testate “verticali” di Digital360: Blockchain4Innovation, PagamentiDigitali, Internet4Things, BigData4Innovation e Agrifood.Tech si occupa di innovazione digitale applicata alla realtà delle imprese, delle pubbliche amministrazioni e del sociale.

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