Auto ibride Plug-in, per Transport&Environment sono "il nuovo dieselgate": ma è davvero così? - Quattroruote.it

2022-07-22 21:33:48 By : Ms. Lily Guo

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L’associazione ambientalista Transport&Environment ha pubblicato una ricerca per dimostrare che le ibride plug-in emettono quantitativi di CO2 superiori a quelli omologati, spingendosi a ipotizzare una sorta di “nuovo dieselgate”,  un secondo “scandalo” orchestrato dalle case automobilistiche: quanto basta per chiedere alla politica - anche italiana - di ritirare tutti gli incentivi messi finora sul piatto, considerati “uno spreco di soldi pubblici”, e di dirottare gli sforzi economici sulle elettriche pure e sulla rete di ricarica. In realtà, le prove effettuate dall’associazione non evidenziano alcun trucco da parte dei costruttori, che sfruttano (legittimamente) le auto benzina e a corrente ricaricabili a per abbattere le emissioni medie della flotta e rientrare così negli obiettivi fissati dall’Unione Europea. Tuttavia, è vero che le ibride plug-in presentano consumi ed emissioni di anidride carbonica molto variabili in funzione dell’impiego e della frequenza delle ricariche: per questo, danno il meglio solo quando vengono usate da una ristretta fascia di utenti. La quale, ovviamente, non è quella che i costruttori dipingono. Insomma, i limiti ci sono e sono innegabili, ma da qui a parlare di nuovo dieselgate ce ne corre. Vediamo perché.

 Come si sono svolti i test. Transport&Environment ha commissionato le prove a Emission Analytics, un’azienda britannica specializzata in test di emissioni. Tre le vetture in esame, una BMW X5 xDrive 45e, una Mitsubishi Outlander Mivec 2.4 PHEV e una Volvo XC60 T8 Twin Engine. Le auto sono state equipaggiate con il Pems, il sistema portatile di misura delle emissioni utilizzato per i test su strada RDE, richiesti dalle norme Euro 6d assieme a quelli di laboratorio per la misura del particolato e degli ossidi di azoto. Le verifiche si sono svolte seguendo la procedura Real driving emission, ma in quattro diverse modalità: nella prima si partiva con la batteria completamente carica selezionando il modo di funzionamento in elettrico; nella seconda l’accumulatore era scarico e la modalità di guida era quella in cui il benzina provvede prioritariamente alla propulsione (che nella X5 corrisponde alla “battery hold”, ovvero alla funzione che mantiene un livello di carica prestabilito); nella terza la batteria era scarica e veniva selezionata l’opzione che provvede al suo ripristino utilizzando il motore elettrico come generatore trascinato dal benzina; la quarta era identica alla prima, ma con le auto a pieno carico. Oltre a questi test ne sono stati effettuati altri due, uno analogo al primo (a batteria carica, in modalità Ev, con uno stile di guida molto dinamico e diverse strade in pendenza) e l’altro percorrendo prima l’autostrada, poi la statale e infine la città.

Non sono fuorilegge. Innanzitutto, va fatta una premessa. Come ricorda la stessa Transport&Environment, i test utilizzati per la ricerca non sono quelli prescritti dalle norme di omologazione per valutare le emissioni di CO2, il consumo di carburante, di energia elettrica e l’autonomia a batteria: tali dati, infatti, vengono misurati in laboratorio seguendo il ciclo Wltp con l’auto sul banco a rulli e poi adattati con un algoritmo ufficiale per correlarli a quelli che si otterrebbero con la vecchia procedura Nedc, in vigore quando sono stati fissati i limiti di CO2. Per questo, i risultati ottenuti nella ricerca di T&E non configurano alcuna violazione delle norme di omologazione.

Conta l’uso. Detto questo, nelle prove dell’associazione il consumo e le emissioni di anidride carbonica sono risultati più alti di quelli omologati, in misura variabile tra un terzo e dodici volte in più. Per esempio, la X5 è passata dai 32 g/km omologati ai 42 in Ev, per poi raggiungere i 385 g/km. Si tratta di numeri che possono impressionare chi non conosce le plug-in, ma che sono del tutto attesi, perché questi divari sono dovuti alla particolare metodologia utilizzata. Nel test RDE classico, i risultati sono infatti vicini a quelli di omologazione, perché tale prova comporta un dispendio di energia di poco superiore, mentre nelle altre modalità - più severe - i valori aumentano parecchio: quelli più elevati, in particolare, si riferiscono al test in cui il motore a benzina, oltre a spingere la vettura, ricarica la batteria azionando il generatore, una modalità d’uso utile per garantire in seguito il funzionamento a corrente ma assai inefficiente. Lo stesso può dirsi dell’autonomia in Ev: i valori dichiarati sono stati avvicinati solo nel test più blando, mentre nelle altre prove, assai inclementi, il raggio d’azione garantito dall’accumulatore - ovviamente - si è ridotto parecchio: per esempio, sempre nel caso della BMW X5, l’autonomia è passata dagli 81 km omologati nel ciclo Wltp ai 75 col test RDE e ai soli 18 con la guida dinamica su percorsi in pendenza.

Adatte a pochi. Le prove di Transport&Environment non fanno che confermare ciò che abbiamo sottolineato più volte e dimostrato con varie prove: le ibride plug-in sono adatte solo a chi ne fa un uso molto controllato, caricandole tutti i giorni a casa o al lavoro e percorrendo qualche decina di chilometri, per rimanere entro l’autonomia garantita dalla batteria. Altrimenti, i benefici delle auto bimotore svaniscono. Come accade quando vengono comprate solo per sfruttare gli incentivi, entrare liberamente nelle Ztl, dribblare il pagamento della sosta o, nel caso delle aziende, per darsi un’immagine “green”. E proprio gli utenti delle auto aziendali sono sovente i meno adatti alle ibride plug-in, perché spesso le impiegano su lunghi percorsi, le ricaricano di rado o, addirittura, non lo fanno del tutto, con la complicità di un’infrastruttura ancora inadeguata: così facendo, è ovvio, i consumi e le emissioni di CO2 salgono parecchio. Insomma, siamo ben lontani da un secondo dieselgate: tuttavia, è chiaro che Transport&Environment, piegando alle proprie ragioni la questione delle omologazioni, pone comunque un problema reale, ovvero le modalità e i motivi, spesso impropri, con cui e per cui le plug-in vengono prima acquistate e poi impiegate. 

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