"Girare il mondo da soli su un Oceanis 34? Io lo sto facendo così"

2022-08-26 21:47:23 By : Ms. suzie sales

developed and seo specialist Franco Danese

Stefano Gigli a bordo del suo Oceanis 34 Connect con cui sta facendo il giro del mondo in solitario

Oggi vi raccontiamo una bella storia di mare. Una storia di passione, certo, per certi versi romantica. Ma soprattutto ricca di consigli per navigare meglio. Stefano Gigli voleva, parole sue, “vivere meglio la sua vita”. Per farlo, ha deciso di acquistare un Beneteau Oceanis 34 del 2008 e attrezzarlo – nei minimi dettagli, come vedrete – per il giro del mondo in solitario. Dopo l’infinita lista di lavori – che trovate completa, traete spunto! – è partito da Ostia lo scorso 12 settembre ed oggi si trova alle Piccole Antille, ai Caraibi.

Questo non è un viaggio di gesta eroiche, prima di me lo hanno fatto in molti, in questo momento siamo in tanti e dopo di me ci saranno ancora tanti navigatori solitari o in equipaggio ad aprire nuove rotte con piccole imbarcazioni da diporto. Non è un impresa e non nasce tale ma è un modo per viaggiare lentamente osservando e curiosando senza una precisa meta ma con lo scopo di vivere al meglio la mia vita, orientare le vele e navigare libero.

Da bambino ero attratto dalle montagne innevate, dalle nuvole nel cielo e dalle onde nel mare. Mi piaceva tutto ciò che si muoveva nell’aria e quando mi è capitato di vedere un gabbiano volare senza batter ciglio, ho sognato di poterlo fare anche io.

Seguendo le mie passioni sono diventato Maestro di sci, Istruttore di vela, Guida Mountain Bike, Stand Up Paddler, Pilota di parapendio e Aliante. Lavoro nell’industria del Kite e del parapendio faccio parte di una grande famiglia, The Ozone Kite e Paragliding company e con questa azienda partecipiamo alle prossime Olimpiadi.

Lavoro nel settore multisport da oltre 25 anni, vivo in Nuova Zelanda, dove svolgo la professione di pilota di parapendio tandem e collaboro nel progetto di Ozone New Zealand, ma durante la stagione estiva sono in Europa, mi occupo di Ozone Kites Italia per la distribuzione e organizzo diverse attività sportive oltre che a passare del tempo con la famiglia ed i miei amici.

Oggi ho un grande desiderio di sorvolare e veleggiare ogni angolo del mondo e ho pensato di farlo con il Connect, una barca a vela di 34 piedi con una storia per me speciale.

Nel 2019 ricordo che stavo collaborando con una scuola di parapendio in Austria, quando mio papà mi chiamò e mi disse che un suo amico stava vendendo la sua barca a vela che ormai non utilizzava da due anni. Era alta stagione e promisi a mio padre che non appena sarei rientrato ne avremmo parlato. Papà era appassionato di pesca ed aveva un piccolo gozzo cabinato, fin quando si ammalò di Cancro e dovette venderla. Per continuare ad andare per mare conoscendo la mia passione per la vela decidemmo di acquistare “Pasta e Ceci”, un Beneteau Oceanis 34 (10,34 x 3,66 m) del 2008.

Certo il nome era bizzarro e la barca ormai lasciata andare nel porto di Civitavecchia. La sfida non era acquistarla ma darle una nuova veste ed un nuovo progetto: fu così che Pasta e Ceci divenne il nuovo Connect.

Durante i miei viaggi di lavoro fra gli spostamenti in Nuova Zelanda e l’Italia, pian pianino la rimettemmo in carreggiata per navigare rendendola prima di tutto divertente e sicura senza molte pretese di andare chissà dove. Successivamente la malattia di mio padre si aggravò e in concomitanza con il presentarsi della pandemia la barca, come tutte le altre, tornò ferma in cantiere.

Nulla accade per caso, il periodo di stallo e di supporto a mio padre diede vita a nuove idee fra cui un viaggio più lungo. Iniziai a fare delle ricerche in merito a come preparare una piccola barca per una avventura. Interpellai molti amici e colleghi, tante letture e molta confusione fin quando un giorno incontrai Matteo Miceli.

L’abbraccio tra il navigatore oceanico Matteo Miceli e Stefano Gigli

Lui di viaggi e oceani se ne intende e ha solcato i mari del mondo in diverse maniere: dalla traversata solitaria in catamarano di 18 piedi non abitabile al giro del mondo con Eco, un Class40 a emissioni zero. Chi meglio di lui avrebbe potuto illuminarmi. Ricordo che lo invitai a bordo e iniziammo a parlare del più e del meno su come preparare la barca per un lungo viaggio.

Da quell’incontro nacque anche una buona amicizia, non solo iniziammo a condividere le sue esperienze e le mie idee ma anche magnifici voli in Aliante, rilassanti bagni caldi nella sua piscina naturale e deliziose cene preparate dalla moglie Corinna (persone speciali)!

In primis, avevo la necessità di creare un budget, poi un team di persone competenti e partecipi al progetto e poi trovare i fornitori.

A gennaio del 2021 mio papà venne a mancare, il cancro non perdona nessuno e da lì che decisi di realizzare ciò che in fondo ho sempre desiderato: il giro del mondo in barca a vela.

Ma si può fare un giro del mondo con un 34 piedi? Forse la domanda era posta male da molti in quanto si soffermavano sulla lunghezza e non sul “contenuto” del mezzo e nemmeno sulle mie capacità o motivazioni. Il viaggio non è una corsa, né una sfida. E’ un viaggio fatto di programmi variabili e con un tempo a disposizione medio lungo, a tappe e senza pretese. Di certo non un viaggio per accasciarsi da qualche parte, ma per veleggiare con una barca simile ad un 4×4. Agile, affidabile, con buona autonomia, economica da gestire, facile da condurre.

Connect, il suo nuovo nome, era ormeggiata a Riva di Traiano. Lì insieme a Claudio Santi di SystemYacht abbiamo ottimizzato la strumentazione di bordo, i servizi e soprattutto l’energia. Obiettivo primario di Matteo Miceli era spingermi a gestire la barca con l’autosufficienza energetica senza l’ausilio del motore endotermico.

Primo quesito, quanto consuma la mia barca di energia per essere autonoma? Un calcolo a cui si arriva solamente conoscendola ed usandola. La teoria ha molti limiti ma è un buon punto di partenza.

Con Claudio partimmo da questo dubbio per arrivare alla totale indipendenza energetica e sempre con la consulenza di Matteo abbiamo pensato questo sistema di bordo.

Quattro batterie AGM da 100A l’una, quattro pannelli solari Solbian da 100W l’uno; insieme a Matteo abbiamo progettato un roll bar che ospitasse sia i pannelli che le gruette per il tender. Un generatore eolico Silent Wind da 400W, un idrogeneratore Watt & Sea 600W, un alternatore di potenza Balmar da 100W.

Il tutto è gestito da regolatori di carica e centralina Victron che collegata in bluetooth ti fornisce tutte le informazioni su iPad o sul telefono.

Con questo back-up energetico “pulito”, abbiamo fornito energia al nuovo sistema di strumentazione e gestione che comprende: due plotter Raymarine, un pilota primario Garmin Raptor, un pilota secondario Raymarine, un attuatore a pistone idraulico, un radar Raymarine, un AIS Garmin 800, un PC con interfacciati i dati, AIS e programmi per la navigazione (Smart Skipper e Open CPN), un Iridium Go per la comunicazione satellitare voce, messaggi, mail e Grib Meteo.

Invece, per l’autonomia di acqua dolce e potabile, abbiamo installato uno Schenker da 30 litri con un sistema a carboni attivi. Ho modificato il carico dell’acqua sia internamente con il dissalatore che esternamente. Ho sostituito gli indicatori digitali dei livelli con indicatori analogici e installato un sistema di riscaldamento/deumidificazione/areazione Webasto.

Tanta roba, ma soprattutto tante ore di lavoro e navigazione per far dialogare correttamente il sistema in base alle mie esigenze di navigare in solitaria in questo viaggio.

Se dovessi consigliare, i pannelli solari sono la miglior fonte di energia insieme all’idrogeneratore. Il generatore eolico è molto valido quando sei in rada, ma ovviamente solo in località ventose. Nessuna di queste fonti energetiche sostituisce l’altra, bensì sono complementari in un viaggio del genere.

Sistemata l’energia, che richiede comunque sempre assistenza ma anche tanta conoscenza (ho imparato molto da Claudio per saper gestire anche eventuali problemi in navigazione), in contemporanea ho iniziato a mettere le mani sul motore e sui suoi sistemi semplici ma che devono essere infallibili quando necessario.

Mimmo Prospero, caro compagno di veleggiate, da sempre è stato colui con cui ho messo le mani al rigging e al motore.

Come possiamo far funzionare al meglio un piccolo Yanmar da 20cv senza romperlo? Lavorando sodo e in modo “capillare”. Per prima cosa, nonostante le sue poche ore (circa 1100) abbiamo smontato lo scambiatore di calore, pulito il fascio tubiero, sostituito il raiser, sostituito tutti i tubi Armovil con tubi ad alta pressione ben più solidi, messi dei rubinetti sul circuito del boiler, cambiato tutte le fascette, installato un filtro gasolio supplementare Racor, una pompa elettrica 12v per aspirazione liquidi, abbiamo sostituito il filtro di plastica dell’acqua con un filtro in Lega.

Poi: rettifica dell’asse dell’elica, sostituzione della cuffia Volvo, elica Max Prop a tre Pale con antivegetative Speed Prop. Abbiamo ottenuto un gioiellino che a 2500 giri consuma un litro ora ad una media di 5.5 nodi di velocità. Zero problemi, massima affidabilità.

E quando il vento soffia a 25 nodi e hai necessità di manovrare a motore? Ce la fai? Certo, per questa barca il 30Cv sarebbe migliore ma trovando il passo giusto dell’elica vi assicuro che si riesce bene, e anche bene perché la barca è agile e l’effetto evolutivo della Max Prop mi consente di manovrare facilmente.

Per quanto riguarda il rigging abbiamo cambiato le sartie alte, i tenditori, drizze e ottimizzato una drizza 2/1 per le vele di prua piccole (trinchetta e tormentina che uso con un frullone), il musone dell’ancora è diventato, grazie a una modifica in acciaio (un rinforzo), anche il punto di mura del gennaker.

La prima cosa che cambiai sull’Oceanis fu proprio l’ancora. Per me la migliore per il Connect è una Rocna da 15Kg con una catena dal 60 metri del 10 e 40 metri di cima. Ho sempre dormito sereno ovunque. Non è mia abitudine entrare nei porti, a meno che non debba fare manutenzione di un certo tipo, quindi ancora e catena sono le fonti dei mie sonni profondi.

Come ancora di rispetto a poppa ho sempre una Rocna 15 e la scelta di averla uguale è solo per il motivo che se dovessi perdere la principale ho il suo ricambio. A disposizione insieme alle ancore ho una cima da 50 m e due da 30, ci sono dei posti dove puoi mettere le cime a terra e averne a disposizione non è da sottovalutare.

Come faccio veleggiare decentemente il Connect? Ho scelto di lavorare con i ragazzi di 3FL, Francesco, Diego, Iko e il mio mentore Ciccipicci, colui che mi insegnò ad andare a vela tanti tanti anni fa e con cui mi divertivo a fare esperienza in altura.

Ricordo quando chiamai Francesco Cruciani, che mi venne anche consigliato da Barbara, Matteo e Simone del Circolo Velico Ventotene. Ricordo che quando gli dissi che volevo partire con un 34 piedi (ex Pasta e Ceci), lui abituato a parlare con armatori di Swan beh…immaginate. Ma ero spinto da una tale motivazione che insieme a tutti loro abbiamo dato una nuova vita al Connect e al suo nuovo gioco di vele.

Unico neo di questa barca era inizialmente la randa avvolgibile nell’albero. Ma come risolvere questo problema? Il progetto era rifare il piano velico ed equilibrare la barca nelle sue andature, soprattutto le portanti per gli alisei in Atlantico.

Dopo alcuni ragionamenti (affidabilità, manovrabilità e sicurezza), la randa è uscita nuova dal laboratorio con tre stecche verticali e un profilo positivo dalla stessa metratura della randa normale. Dal problema ne è sorta una grande opportunità, in quanto la randa steccata avvolgibile mi permette di equilibrare la barca in maniera perfetta riducendo così lo sforzo sul sistema timone e pilota automatico. Zero problemi nell’avvolgerla o arrotolarla (ovviamente c’e un modo per farlo correttamente in tutte le andature, ma devi conoscere bene il sistema e la barca). Poi: fiocco, trinchetta e tormentina come vele di prua, gennaker grande di tessuto in nylon per vento leggero, gennaker piccolo di tessuto pesante per vento forte (da portare soprattutto in oceano) con molto grasso in testa e infine un Code Zero più simile ad un grande genoa che utilizzo con vento leggero con angoli da 60 fino a 120° e che mi permette di usarlo anche con venti più sostenuti, fino a 15 nodi.

Un grande lavoro di squadra che mi ha permesso di arrivare fin qui con le massime prestazioni.

Un sistema “custom” per tangonare il fiocco

Per irrobustire alcune parti del rigging ho coinvolto Fabio di Tibermast che con i suoi bravissimi tecnici ha realizzato parti custom sul boma e sull’albero, incluso un tangone/buttafuori con cui tengo aperto il fiocco soprattutto di notte quando riduco randa e poggio per andare a dormire senza dover fare cambio di vele all’arrivo dei groppi. Posso ridurre fiocco anche se tangonato e questo mi permette di equilibrare la barca molto rapidamente e facilmente. Non uso un carica alto ma lo regolo con le scotte del gennaker e attraverso le scotte della trinchetta, che funzionano da carica basso. Ogni manovra è riportata in pozzetto.

Con questo set, il Connect per quanto piccolo sia, in Oceano nel “Trade Wind” macina in media dalle 140 alle 160 miglia al giorno.

Ma come gestisco questa barca da solo? Come detto, ho riportato ogni singola manovra in pozzetto. Difficilmente vado a prua, solo se devo issare o ammainare il gennaker con la calza o armare il tangone. Ogni singola manovra è stata rivista e ottimizzata per permettermi di stare sempre al comando sicuro, dormire di notte e governare da dentro in quanto sull’asta tecnica c’è anche montata una telecamera e con i sistemi di navigazione Navionics, Smart Skipper e Open CPN. Con il telecomando del pilota riesco a stare dentro anche in condizioni meteo avverse. Gli allarmi AIS e radar riportati su più sistemi sono una sicurezza ulteriore. Smart Skipper ti parla proprio, Open CPN suona l’allarme ed i plotter hanno il cicalino… Se incontri qualcuno di notte stai sicuro che suona tutto. Sulla tuga ci sono ben tre life line che mi permettono di assicurarmi ogni qual volta devo muovermi.

Tutto questo lavoro ha richiesto tempo e soldi ovviamente, ma tutti i progetti richiedono sempre energie proporzionate al fine. Con questo voglio dire che i nuovi progetti, anche nelle barche più piccoline, permettono grande divertimento, prestazioni e sicurezza. Io non ho fatto nessun rinforzo strutturale al Connect. Certo sul mercato esistono delle aziende che costruiscono barche definite “Blue Water” per eccellenza ma non più piccole di 45 piedi e con prezzi a partire dal mezzo milione di euro.

L’utilizzo di nuovi materiali e tecniche di costruzione permettono ai cantieri di realizzare imbarcazioni omologate in classe A a costi più accessibili. La manutenzione comunque costa a prescindere ed è in proporzione alla lunghezza e al tempo che ci puoi o vuoi dedicare. Ad oggi non so se acquisterei una barca più grande del Connect, forse mi spingerei verso un 36 o massimo un 40 piedi ma per il momento non ho in mente questo cambio anche perché il mio viaggio è anche nell’entroterra. La barca è un modo per spostarsi in mare.

Vedo ragazzi, famiglie e persone navigare ovunque e questo apre un mondo di esploratori che non cercano il confronto della velocità, della distanza o delle prestazioni nella competizione che io chiamo the “Rat Human Race”. E’ solamente spirito di avventura ed esplorazione personale, ognuno si fa il viaggio che più gli piace e se leggiamo i libri di grandi navigatori come Slocum, Moitessier o lo stesso Francesco Aurelio Geraci (il primo italiano a circumnavigare il mondo dopo Slocum nel 1932 con una goletta di legno di 10 metri senza motore), un 34 piedi penso che vada più che bene sia per una rilassante crociera mediterranea sia per un interessante giro del mondo.

Durante il processo di preparazione ci sono stati anche molti test in mare e quindi molte miglia. Con i ragazzi di Traiano Nautica abbiamo messo a punto i dettagli delle manovre correnti e fisse. Come posso dimenticare la Roma x 2 insieme a Raffaele? Quando gli proposi di partecipare per provare non ha esitato molto a dirmi di si, gli è sempre piaciuto il mio progetto e al via siamo partiti determinatissimi anche con condizioni meteo impegnative. Il nostro scopo era concludere la regata, provare tutti i sistemi e cercare di capire se si sarebbe potuta rompere: abbiamo terminato e non abbiamo rotto nulla, si è solo svitato un grillo.

Dopo la Roma x 2 ho voluto continuare con i miei test e ho partecipato alla Lunga Bolina insieme ad un amico d’infanzia, Andre Zecca con cui mi ha fatto piacere condividere due giorni di vela. Anche qui tutto bene.

Poi da giugno ad agosto un altro test fu quello di provare non solo la navigazione d’altura ma anche la vita di bordo, l’autosufficienza energetica, le rade e la vivibilità in un 34 piedi. Insieme a Paulo, in flotta con il suo Outremer 49, anche lui in preparazione per il giro e Matteo con il suo Outremer 60 (ora in giro per il mondo), pian pianino abbiamo fatto un bel giro passando per la Sardegna e ad Ovest della Corsica fino a scendere nuovamente dalle isole dell’Arcipelago Toscano visitando anche la più bella isola al mondo, Montecristo. Forse ad oggi il posto più bello che io abbia mai visitato per mare.

I primi di settembre ho tirato a secco il Connect da Fabio Falbo a Fiumicino, Marina Yacht Service, un ottimo posto dove poter fare i lavori con un team di persone competenti e molti servizi a disposizione. In questa occasione ho fatto una cosa molto particolare alla pala del timone ma necessaria. Ho tirato giù per verificare le boccole e tutto il sistema dei frenelli, pilota e attuatore, ho deciso di rifare il profilo del bordo d’uscita della pala in quanto esce dalla produzione con un profilo squadrato di circa mezzo centimetro.

Questo mi dava una vibrazione molto importante a determinate velocità ed andature. Parlando e confrontandomi, tutti pensavano che fosse un problema relativo al sartiame che riportava una risonanza sullo scafo. Ricordo però che Maurizio Marini, un esperto skipper, mi disse di controllare i bordi di uscita delle appendici. Quindi presi la palla al balzo e andai a parlare con un altro tecnico molto esperto di materiali compositi e profili, Michele Saponara.

Abbiamo così deciso di creare un profilo perfettamente simmetrico e rastremato, allargando la corda della pala di qualche cm. Risultato di un lavoro robusto e di precisione è stato il totale annullamento della vibrazione ma soprattutto un efficacia della pala senza precedenti per il Connect. Morbida, precisa e diretta.

Una persona molto determinante e preziosa in questo progetto è stato ed è tuttora Diego Volpi, caro amico con cui condivido esperienze di volo che ha un’esperienza incredibile a vela e in aria. Lui ha già fatto due oceani di cui uno con un 34 piedi, insieme alla famiglia con la bimba piccola ed un cane la prima volta. La seconda volta con un Oceanis 437 per ben 5 anni. Credo che abbia attraversato l’Atlantico una decina di volte, lui sa! I suoi preziosi consigli, ma soprattutto la sua preparazione sulla gestione della barca, la manutenzione, la programmazione di una rotta, la meteo, i posti. Lui sa! Colui che mi ha seguito e mi segue nel routing e nella meteo durante le traversate e mi da sempre un calcio al culo nel momento giusto per motivarmi e guardare sempre ad Ovest. Grazie Diego.

Sul pontile del Marina Yacht Service ad Ostia, insieme a Gabriele con cui ho condiviso molte cose anche ben più importanti partiamo per Ventotene. Premetto, credo di essermi innamorato di Roma nuovamente la sera prima insieme a Barbara ed Alessia. Era tanto che non provavo emozioni in questa città ma loro sono state capaci di trasmettermi nuove vibrazioni nella città eterna. In banchina l’abbraccio loro, di Matteo e Corinna, Diego, Roberta, Lauretta, Diego Magellanes, fratello di volo. Un saluto che è stato un arrivederci perché puoi viaggiare quanto vuoi ma sempre indietro un giorno tornerai, con occhi diversi con uno spirito nuovo.

Perché la prima meta è stata Ventotene? Velisticamente è parte della mia carriera, iniziata al Circolo Velico Ventotene. Andavo lì da adolescente ad imparare ad andare a vela. Poi ho continuato ad andarci e collaborando con Mauro e Simone Ugazio ho per quel poco contribuito allo sviluppo di un circolo velico storico. La mia profonda amicizia e stima nei loro confronti mi ha quindi attratto nuovamente  nell’isola in occasione della festa di Santa Candida. Sono arrivati Paulo con Takaroa e altri amici a fare festa, Mia Mamma, Sara, Sonia e altri amici con cui ho condiviso giorni indimenticabili festeggiando Ue Ue u Pallo’ in piazza Chiesa.

21 Settembre 2021, ore 15 UTC, le cime mi vengono mollate da Rodolfo che fu il mio istruttore di vela 30 anni fa. Il Connect spiega le vele ed orienta la prua ad Ovest. Il viaggio di scoperta inizia con una leggera brezza da ovest: si parte per un’avventura che io definisco la ciliegina sulla torta per i miei 50 anni.

Marzo 2022. Ora mi trovo nelle Piccole Antille e nel prossimo articolo ho molto da raccontarvi sulle ultime 5000 miglia, sul Mediterraneo, lo Stretto di Gibilterra, le magiche isole di La Gomera ed El Hierro (patrimonio dell’umanità) alle Canarie, Capo Verde Creola e la solitaria Traversata Talantica con imprevisto, la quasi “inospitalità climatica” delle Piccole Antille e magari un accenno delle prossime tappe in America Latina. Colombia, Bolivia, Perù in volo, il cuore di questo viaggio attraverso le culture andine e Panama in Barca per passare il Canale e orientare la prua verso le isole del Pacifico alla ricerca di contatti Maori…

Mia madre non rimase poi così scioccata quel giorno che le dissi “Mamma, parto per il giro del mondo con il Connect”. D’altronde dopo 30 anni di avventure e progetti bizzarri si è anche un po’ gasata. Mamma Luciana oggi è la prima sostenitrice del mio viaggio. Mi segue sul Live Tracking del Garmin, Ci sentiamo con Iridium Go quando sono in Oceano, ci scriviamo mail e messaggi e le giro foto e racconti quando posso. E nonostante tutto, sapere che la Mamma ti segue ed è serena, mi fa stare bene.

Non sono un appassionato di Social Network, Non sono uno YouTuber o un Twitter addicted. Se volete, potete contattarmi per mail all’indirizzo stefano@ozoneitalia.com

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Articolo molto interessante, grazie di averlo pubblicato. Già una traversata dell’Atlantico deve essere una sfida tosta… il giro del mondo, incredibilmente di più. Scrivere dei costi di questa impresa sarebbe stato prosaico e avrebbe riportato l’avventura sul piano del concreto? Forse sì, forse noioso, forse da “ragioneri”, ma è la realtà, è un argomento che raccontato o no, è sempre presente, e da questo articolo si subodora che i costi siano stati importanti. 5 mesi per arrivare alle Piccole Antille, e da lì a Panama di mare ce n’è ancora tanto. Auguro a questo “ragazzo” di 50 anni di finire il suo giro del mondo; sarà – anche se non lo dovesse finire – una esperienza che gli permetterà di dire, un giorno, di avere vissuto, e non avere sprecato la propria vita. Buon vento.

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