Addio petrolio, così i rifiuti producono energia e calore - Skille Sostenibilità, Acerra

2022-06-04 02:18:04 By : Mr. Stephen Wan

Le direttive europee del “Pacchetto economia circolare” del 2018 fissano gli obiettivi: entro il 2035 il riciclo urbano dei rifiuti al 65% e il ricorso alle discariche al di sotto del 10%. Traguardi impegnativi per l’Italia, dove ora l’avvio al riciclo è a poco di più del 50% e in discarica va ancora il 25%. Non per la Lombardia, dove la raccolta differenziata è già oltre, al 70%, e in discarica va meno del 10%.

Se un mondo senza rifiuti è impossibile, uno senza discariche, invece, è del tutto realizzabile. Servono iniziative economiche, servizi, impianti, infrastrutture. Tra questi i termovalorizzatori, sfatandone il luogo comune di nemici dell’ambiente, perché il recupero energetico può essere la soluzione quando quello di materia è impossibile o inefficiente. I Paesi europei più avanzati nell’azzeramento della discarica, come la Germania e la Svizzera, raggiungono l’obiettivo riciclando due terzi dei rifiuti e bruciando il rimanente. Il termovalorizzatore Rea di Dalmine del Gruppo Greenthesis è un impianto di taglia media e brucia circa 150 mila tonnellate all’anno, lontane dalle 600 mila di quelli di Brescia, Milano, Acerra, ma produce l’energia elettrica equivalente al consumo della città di Bergamo in un anno.

I rifiuti raccolti nella fossa di stoccaggio sono inviati alla caldaia. Lì il calore prodotto dalla combustione genera il vapore: questo muove una turbina che alimenta un generatore. In questo modo l’energia termica è recuperata come elettricità. Le pareti della caldaia contengono i tubi con l’acqua che è trasformata in vapore dalla combustione. Questo è ulteriormente riscaldato nelle prime fasi della depurazione dei fumi, che escono dal camino a una temperatura di circa mille gradi.

Le linee per il recupero energetico sono due, la turbina è una: diventeranno due quando sarà pronta quella per l’alimentazione della rete di teleriscaldamento di Bergamo. Meno del 20% dell’energia prodotta è consumata dall’impianto. Il resto, stante il regime di mercato libero, è venduto ad operatori di mercato per la rete nazionale, non direttamente al pubblico Gestore dei servizi energetici: ora Rea ha un contratto con Duferco Energia.

Oggi Rea ha due caldaie e due linee di depurazione dei fumi, ma la linea del vapore, la turbina e il generatore sono unici. La potenza massima della turbina è 15 MW e, a seconda dei generi di rifiuti immessi, resta attorno ai 14. Ogni tredici, quattordici mesi una delle due linee è fermata per manutenzione per tre, quattro settimane.

I fumi della combustione sono trattati attraverso cinque fasi, che assicurano un livello di depurazione molto elevato ed emissioni minime. Ogni fase abbatte tipi diversi di inquinanti. La prima è costituita da un filtro elettrostatico con un campo magnetico ed elimina la polvere. Il secondo filtro è il reattore bicarbonato di sodio, che depura il fumo dagli acidi. Un silo di calce magnesiaca accede già alla caldaia per inertizzarli. Il terzo filtro è il reattore carboni attivi, che cattura metalli pesanti e composti organoclorurati. Il quarto filtro a maniche è composto da grandi tubi in Gore-Tex, che trattengono le particelle solide, tra cui il bicarbonato di sodio dosato nel secondo stadio e i carboni attivi del terzo. I prodotti sodici residui sono intrappolati e stoccati.

Rea è il primo impianto che ha realizzato in Italia l’ultima sezione, il reattore De NOx, poi copiato altrove. Riceve ammoniaca che, nel processo di reazione chimica, riduce gli ossidi di azoto. Alle emissioni di NOx fu assegnato un limite di 70 milligrammi al metro cubo, inferiore a quello di legge di 200. L’impianto si ferma ben al di sotto, a 28, già in linea con i parametri europei del 2022. Un fiore all’occhiello.

Le scorie residue sono inviate a centri di recupero o smaltimento

Circa il 18% dei rifiuti in ingresso, in seguito al processo di recupero energetico, costituisce il residuo finale. Il 14-15% si trasforma in scorie pesanti, scaricate dalla griglia della caldaia all’estrattore e alla fossa, dove entrano in una tramoggia con l’acqua per il raffreddamento. Nella vasca di stoccaggio un nastro magnetico ricava circa l’1-1,5%, il ferro grossolano, recuperato e venduto.

Il recupero di materia prosegue in altri impianti, che tolgono il ferro più fine e i metalli non magnetici, alluminio, inox, rame, ottone. Quanto rimane sono materiali inerti: il più fine assomiglia a sabbia, il più grossolano a ghiaia. Alcuni impianti li usano per conglomerati cementizi, altri per il magrone per le gettate. Un’azienda ne ricava il sostituto della marna per i cementifici. Un’altra frazione di materiale è usata come copertura delle discariche al posto di argilla e terreno.

I prodotti sodici residui, circa l’1-1,5%, vanno al recupero. La Solvay si riprende, a pagamento, queste polveri e le lavora per recuperare bicarbonato non reagito e ottenere un composto per il bicarbonato di sodio. Le ceneri acide, circa il 2-2,5% di quanto è immesso, sono il solo residuo non recuperato: miscelato con calce e cemento in impianti di inertizzazione, è destinato alle discariche per rifiuti pericolosi.

Tutti gli impianti di incenerimento lombardi sono collegati a un sistema che riporta istantaneamente all’Arpa, l’ente di controllo, i parametri delle emissioni in uscita dal camino, analizzati da una centralina di monitoraggio. Le concentrazioni di inquinanti sono inferiori a quelle di una piccola caldaia domestica. I valori emissivi delle polveri Pm10 e Pm 2,5 e dell’acido cloridrico, per esempio, si fermano a 0,1-0,2 rispetto al limite di 10. Rea Dalmine, per tutti i parametri fondamentali, vanta percentuali di inquinanti emessi più basse del 90-99% rispetto ai limiti, del 60% per gli ossidi di azoto. Il ciclo di depurazione è a secco, più costoso. Il risultato? Non si spreca acqua e non si producono rifiuti liquidi.

Turbina per la generazione dell’energia elettrica

La termovalorizzazione può produrre sia elettricità sia acqua calda. L’impianto Rea di Dalmine, dall’inverno 2022-’23, contribuirà, grazie alla partnership con A2A Calore e Servizi, ad alimentare la rete per il teleriscaldamento di Bergamo con 90 GWh termici annui, aumentandone la potenzialità di circa il 50%. Riscalderà circa 11 mila appartamenti, con un risparmio di oltre 14.500 tonnellate di anidride carbonica, corrispondenti a 750 mila alberi.

La turbina attuale è disegnata per sfruttare al massimo la capacità termica del vapore e produrre più energia elettrica possibile e funzionerà quando il teleriscaldamento, tra 15 aprile e 15 ottobre, non sarà attivo. La seconda turbina per il teleriscaldamento genererà meno energia elettrica, che passerà da 15 a 10 MW, ma vapore a più alta temperatura che, attraverso lo scambiatore, produrrà acqua calda da immettere nella rete. Meno energia elettrica, ma più valorizzazione del rifiuto.

Il rendimento, che misura la bontà degli impianti di incenerimento, passerà dal 27%, la quantità di energia presente nel rifiuto trasformata in elettricità, al 65%, perché si sommerà il calore, ora non utilizzato. Le emissioni non varieranno. La rete di teleriscaldamento è costituita da un condotto con l’acqua fredda che, proveniente dall’impianto A2A di via Goltara a Bergamo, entra nello scambiatore di calore a Dalmine. L’acqua calda torna in via Goltara. Un modello di circolarità.

Non c’è un livello zero di diossina, che è misurata in nanogrammi. L’impianto di Dalmine ne emette il 95% meno del limite di legge: 0,005, rispetto a 0,1. La diossina deriva da una cattiva combustione a bassa temperatura, quando c’è cloro nei rifiuti. La presenza di un bruciatore a metano sulla caldaia è un presidio di sicurezza per non scendere mai sotto gli 850 gradi, come la legge prevede.

In due fasi. La maggior parte per riscaldare il letto catalitico del reattore che abbatte gli ossidi di azoto. L’altra parte, in fase non standard, quando spegniamo e poi riaccendiamo una delle due caldaie per manutenzione, perché raffreddamento e successivo riscaldamento devono essere graduali. Ma i duemila metri cubi di metano giornalieri consumati servono quasi tutti per la depurazione dei fumi. Il metano non può essere sostituto da fonte rinnovabile, perché occorre qualcosa che bruci per mantenere il caldo. L’impianto opera normalmente a 1.000-1.100 gradi ed è strutturato in modo tale che, quando la temperatura scende sotto i 900, i bruciatori di metano si accendono.

Un rilevatore segnala l’eventuale presenza di materiali radioattivi

Un rilevatore all’ingresso segnala l’eventuale presenza di materiali radioattivi che, se sono rilevati, sono gestiti secondo procedure di sicurezza autorizzate e indirizzati a siti abilitati per lo smaltimento.

Lo sballatore rimuove l’imballo e avvia il trattamento

I rifiuti sono scaricati nella fossa di stoccaggio, dov’è installato lo sballatore, dotato di una propria fossa di accumulo. Questo effettua il trattamento dei rifiuti in fossa dopo quello di rimozione dell’imballo.

Benne di carico, alimentatore e camera di combustione

L’omogeneizzazione dei rifiuti avviene tramite benne di carico. Prelevati e inviati ai forni, un alimentatore li sospinge e distribuisce su tutta la larghezza della griglia all’interno della camera di combustione.

L’efficienza dell’impianto monitorata minuto per minuto

La cabina degli operatori è posta su un lato della fossa e comunica direttamente con la sala di controllo, per monitorare in modo costante l’efficienza dell’impianto di termovalorizzazione dei rifiuti.

Dati sulle emissioni condivisi con Arpa e Comune di Dalmine

I dati sulle emissioni e il funzionamento monitorati nella sala controllo sono condivisi direttamente con il sistema di monitoraggio Arpa Lombardia Aedos e condivisi con il Comune di Dalmine in tempo reale.

Una turbina a vapore muove un generatore, l’elettricità va in rete

Il calore prodotto dalla combustione dei rifiuti genera il vapore. Attraverso una turbina a vapore che muove un generatore, l’energia termica è recuperata e trasformata in elettricità per la rete nazionale.

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